Tra mito greco e vini vulcanici
Tra mito greco e vini vulcanici

Tra mito greco e vini vulcanici

· di Chiara Campora ·

Nella mitologia greca, Ampelo (Αμπελος) era un giovane, amato da Dioniso, che morì accidentalmente, secondo una versione del mito, cadendo dal dorso di un toro imbizzarrito, secondo un’altra, cadendo da una vite sulla quale si era arrampicato per cogliere un grappolo d’uva.

Nella prima versione, Ampelo fu poi trasformato in vite, portando agli uomini il dono dionisiaco del vino.

Qualunque sia la versione più accreditata, penso che dovremmo ringraziare dal profondo del cuore il giovane Ampelo, per averci donato il vino e per aver ispirato l’ultima creatura della “vulcanica” Olga Sofia Schiaffino.

Ampelos è infatti il nome che Olga ha scelto per un’associazione culturale, che si propone di riunire chi ama il vino, attraverso incontri e degustazioni che possono anche essere proposte dai soci.

Una sorta di “Caffè” illuminista, per confrontare idee e impressioni su vari aspetti del mondo del vino, che si può davvero considerare un mondo sconfinato.

Sabato, in compagnia di Olga, siamo andati sull’Etna, “a Muntagna”, come la chiamano i siciliani, per scoprire un territorio unico dal punto di vista enologico.

Abbiamo avuto il piacere di assaggiare tre vini prodotti da Salvo Foti e da I Vigneri dell’Etna, dal nome dell’antica maestranza che si occupava dei vigneti, in un territorio da sempre vocato alla produzione di vino.

La forma tradizionale di coltivazione è l’alberello etneo, che ben si adatta anche ai terreni più impervi e consente una buona areazione dei grappoli; la presenza di forti escursioni termiche tra il giorno e la notte fa il resto, regalando ai vini un corredo aromatico di grande finezza e varietà.

Il primo vino degustato è Aurora 2016, che deve il nome a una farfalla nativa dell’Etna.

Siamo a Milo, in Palmento Caselle, regno del Carricante (anche se in questo caso c’è un piccolo saldo di Minnella), vinificato in acciaio per esaltarne a pieno le caratteristiche.

Giallo dorato, luminoso, la veste è regale, ma è al naso che ti stende, aprendo un ventaglio di idrocarburi, pietra bagnata, vegetale, scorza di limone.

Profumi ancora declinati sulla freschezza, così come all’assaggio, dove a un sorso pieno, materico, fa da contraltare un’acidità scalpitante e una scia sapida che, come direbbe Camilleri, è sciauro di mare e contribuisce alla sensazione di pulizia finale.

Straordinario già adesso, chissà cosa diventerà con ancora qualche anno di bottiglia.

Ci siamo divertiti ad immaginarlo accostato a crostacei, al pesce spada, alla faraona: bello e prestante come un dio greco, non teme nulla.

Dopo il Carricante, andiamo a conoscere l’altro sovrano dell’Etna, il Nerello Mascalese.

Cominciamo con Magia di Vulcano 2017, prodotto a Randazzo, in Contrada Calderara, da una vigna trattata solo con preparati omeopatici, con lo zampino di Olga e vinificato solo in acciaio.

È il suo vino, anche se lei non vuole che lo si definisca così, ma è giusto emozionarsi davanti alla sua creatura.

Rosso rubino denso, all’olfatto si apre su note vinose e fruttate, di ciliegia e fragoline di bosco, per poi virare su toni balsamici, con una vena ematica, ferrosa, che lo rende davvero “vulcanico”.

Il sorso è dritto, verticale, con un tannino presente ma mai invadente, è succoso e godibile.

Lo vedremmo bene con il tonno, in umido, ma anche con i volatili, con il piccione, perché no.

Altro giro, altro Nerello: Vinupetra 2014.

È il fratello maggiore del vino precedente, sempre da Contrada Calderara, con un passaggio in botte grande che gli conferisce un’eleganza strabiliante.

L’abito è rosso rubino, che vira al granato.

Un caleidoscopio di profumi: confettura di amarene, petali di rosa essiccati, liquirizia, sottobosco e uno sbuffo balsamico che accarezza le narici.

All’assaggio si conferma un fuoriclasse: morbido e avvolgente, con un tannino perfettamente domato e una freschezza stuzzicante.

Sebbene ogni vino sia un mondo a sé, questo bicchiere a me ha ricordato l’eleganza e la compostezza di molti grandi espressioni piemontesi e non ho potuto fare a meno di sognare con la fantasia un piatto di tajarin al tartufo bianco.

Abbinamento sicuramente poco territoriale, ma istintivo, che sgorga dalla memoria emotiva.

In fondo, il bello del vino è proprio questo: mettersi intorno a un tavolo e scambiarsi le emozioni.

Grazie, Olga, per questa esperienza e per quelle che Ampelos ci saprà regalare in futuro!

 
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